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“Ogni epoca ha le sue malattie.”

Inizia così la raccolta di saggi di Byung-Chul Han recentemente pubblicata da Nottetempo in una nuova edizione ampliata.

Le malattie di cui parla uno dei più interessanti filosofi contemporanei sono però diverse da ciò che immaginiamo. In “La società della stanchezza” Han prende in esame le patologie tipiche di questo secolo: depressione, sindrome da deficit di attenzione e iperattività, disturbo borderline di personalità, sindrome da burnout.

Malattie neuronali derivate da un cambio sostanziale nella società.

Si è passati dal paradigma immunologico alla positivizzazione del mondo. Fino a qualche decennio fa c’era “una netta distinzione tra Interno ed Esterno, amico e nemico o tra proprio ed estraneo“. Attacco e difesa hanno caratterizzato questo sistema. Oggi non abbiamo più l'”altro” ma il “differente”, non l'”estraneo” ma l'”esotico”. Anche figure “altre” come gli immigrati o i profughi sono avvertiti oggi più come un peso che come una minaccia.

“Il mondo organizzato in senso immunologico si segnala per una specifica topologia. E’ caratterizzato da confini, frontiere e soglie, da recinti, fossi e muri che impediscono l’universale processo di scambio”.

Nel contesto moderno la dialettica della negatività (tratto fondamentale del sistema immunologico) è sostituita dalla positività. L’Altro è il negativo. L’assenza della negatività, oggi, provoca un eccesso di positività. Attenzione perché, avverte Han, esiste anche una violenza della positività, anzi, ne nascono di nuove.

La società soggetta a negativizzazione è quella teorizzata da Foucault, caratterizzata da ospedali, manicomi, prigioni, caserme e fabbriche. Questa però non è più la società di oggi.

“Al suo posto è subentrata da molto tempo una società completamente diversa, fatta di fitness center, grattacieli di uffici, banche, aeroporti, centri commerciali e laboratori di genetica”.

I cittadini non sono più “soggetti d’obbedienza” ma “soggetti di prestazione”. La società disciplinare è ancora dominata dal “no” mentre quella in cui viviamo è determinata dal “sì” (ricordiamo tutti lo “Yes we can” di Barak Obama). Al posto dei divieti subentrano i progetti. E’ qui il passaggio dalla società disciplinare alla società della prestazione.

“Con l’incremento della produttività il paradigma della regolamentazione viene rimpiazzato dal paradigma della prestazione (…) la positività del poter-fare è molto più efficace della negatività del dovere. Tuttavia – continua Han – il poter-fare non annulla il dovere”.

Il soggetto di prestazione è libero dal dover svolgere un lavoro nel quale potrebbe essere sfruttato, è il “sovrano di se stesso”, non è quindi sottomesso a nessuno se non, appunto, a se stesso.

“Il venir meno all’istanza di dominio non conduce, però, alla libertà. Fa sì, semmai, che libertà e costrizione coincidano”.

Secondo Han, questo sistema porta ad un eccesso di lavoro e di prestazione fino all’autosfruttamento, causando le malattie psichiche della società della prestazione, “manifestazioni patologiche di questa libertà paradossale”. Manifestazioni che, sovente, si traducono in stanchezza dovuta ad un eccesso di stimoli, informazioni e impulsi.

“La società della stanchezza” è un saggio estremamente agile – e allo stesso tempo tagliente – che analizza in maniera lucida e spietata la nostra quotidianità (sebbene sia stato pubblicato per la prima volta nel 2010 in Germania e nel 2012 in Italia) e il falso senso di libertà che conduce all’autoschiavizzarsi per ottenere risultati.

Han ricorda l’importanza di alcuni elementi considerati negativi, come la noia, o inutili, come il gioco. Questi sono invece elementi chiave che consentono di raggiungere un’immersione contemplativa profonda la prima, un momento d’intensità irrinunciabile il secondo (“la vita sana intesa come mera sopravvivenza è l’assoluto grado zero della vita“).

Abolendo tutto il negativo dalla vita si ottiene la “società della sopravvivenza“.

“L’odierna società della sopravvivenza, che assolutizza ciò che è sano, abolisce appunto il bello. E la nuda, sana vita, che assume oggi la forma di un sopravvivere isterico, si rovescia nel morto, anzi: nel morto vivente. Siamo diventati zombi della salute e del fitness, zombi della prestazione e del botox. Così, oggi siamo troppo morti per vivere e troppo vivi per morire.”

Una visione senz’altro cupa che, però, è volta a cogliere i punti deboli della nostra società, per ricercare l’equilibrio e, di conseguenza, la soluzione:

“Viviamo in un grande magazzino trasparente, nel quale siamo osservati e manovrati come clienti trasparenti. Fuggire da questo grande magazzino non sarebbe necessario. Da esso dovremmo tornare a ricavare una casa, anzi una casa festiva, nella quale valga davvero la pena vivere.”

Un saggio che dovremmo tutti leggere e rileggere.

Titolo: La società della stanchezza
Autore: Byung-Chul Han
Traduttrice: Federica Buongiorno
Editore: Nottetempo
Collana: Figure
Pagine: 119
Prezzo: 14,00 cartaceo (QUI su Amazon) – 7,99 ebook
Data di uscita: 04 giugno 2020


Byung-Chul Han

Byung-Chul Han è un filosofo tedesco di origine Sud-Coreana. Nato a Seoul, si è trasferito in Germania per approfondire i suoi studi. Vive attualmente a Berlino dove insegna Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste. Refrattario all’esposizione mediatica, è tuttavia uno dei più interessanti filosofi contemporanei.

Sempre attento ai fenomeni dell’attualità, segnaliamo l’interessante articolo “La società del virus tra Stato di polizia e isteria della sopravvivenza” scritto dallo stesso Han e pubblicato nella sua traduzione in Italiano da Avvenire. In questo articolo, il filosofo parla della situazione attuale in balia del Covid-19 dove la biopolitica digitale va di pari passo con una psicopolitica digitale.