E’ da poco in libreria per Carbonio Editore un sorprendente libro in bilico tra romanzo di formazione e distopia, con una protagonista originale e inaspettata. Il libro si intitola “Panopticon” e lo ha scritto l’autrice scozzese Jenni Fagan (già nota in Italia per il suo “I Pellegrini del Sole”, pubblicato dalla stessa casa editrice) che abbiamo intervistato proprio a proposito del suo sorprendente romanzo d’esordio (prima di allora si era dedicata prevalentemente alla poesia).
Anais non ha mai conosciuto la sua famiglia, tanto che è arrivata a credere di essere un esperimento nato in laboratorio. E’ sagace e pungente, ribelle e sarcastica, tutte caratteristiche che la portano a cacciarsi sempre nei guai. La conosciamo mentre sta per arrivare al Panopticon, una specie di carcere (anche se lo definiscono “struttura correttiva”) dove rinchiudono i minori considerati cause perse, accusata di aver mandato in coma una poliziotta durante un’aggressione di cui non ricorda nulla.
Come il Panopticon teorizzato dal filosofo Jeremy Bentham, la struttura è studiata per controllare costantemente i residenti attraverso le pareti a vetro delle stanze di ciascuno ma una strana solidarietà inizia a farsi largo tra i ragazzi, che cambierà la vita a tutti.
Un libro che è anche un monito (in questo sento la “distopia”) della realtà che ci circonda, un allarme acceso verso un mondo che sembra porre l’individuo al centro ma lo fa solo per poterlo osservare e controllare piuttosto che aiutare e far crescere. Una denuncia non troppo velata nei confronti dei servizi sociali e del loro funzionamento, che per Fagan, come per Anais, non sono stati in grado di essere davvero utili.
Di questo e molto altro abbiamo parlato con Jenni Fagan in questa intervista.
IL LIBRO
Nella desolata campagna alla periferia di Edimburgo svetta una torre di guardia. È il Panopticon, una struttura circolare, con tante piccole celle controllate dall’alto da un occhio invisibile.
Qui vengono rinchiusi i ragazzi senza speranza: i giovani disadattati, segnati per sempre da un’infanzia difficile. Come Anais Hendricks, 15 anni, che da quando è nata è passata da una famiglia all’altra, sballottata tra assistenti sociali e genitori adottivi. E adesso è accusata di aver mandato in coma una poliziotta.
Al Panopticon non sarà facile sopravvivere. Qui si viene spiati giorno e notte, studiati come cavie. Per non perdere la testa, il trucco è non pensare, non vedere, e magari affezionarsi agli strampalati compagni di sventura. Oppure inventarsi una meravigliosa realtà parallela…
Da una scrittrice scozzese di talento, l’erede di Irvine Welsh, un romanzo spregiudicato e spiazzante, pieno di humour e voglia di rivincita, con una giovane eroina indimenticabile.
L’AUTRICE
Nata nella città scozzese di Livingston nel 1977, Jenni Fagan non ha mai conosciuto i suoi genitori e ha trascorso i suoi primi 18 anni tra istituti e case di accoglienza dopo due tentativi falliti di adozione. Lettrice precoce e onnivora, abbandona la scuola superiore per intraprendere, maggiorenne, studi in Cinema e Televisione laureandosi alla Greenwich University di Londra e specializzandosi, sempre nella capitale, in Scrittura Creativa presso la Royal Holloway University. Autrice di raccolte di poesie e dei romanzi Panopticon e Pellegrini del sole (2016) – pubblicato da Carbonio nel 2017 –, Fagan è stata candidata a diversi e prestigiosi riconoscimenti letterari come il Dundee International Book Prize e il Pushcart Prize. Animatrice di corsi di Scrittura nelle carceri e negli ospedali, nel 2018 Fagan ha diretto il suo primo cortometraggio sul Bangour Village Hospital dove è nata. Il poema filmico è stato proiettato in Francia e a New York e il componimento originario è stato incluso nel secondo numero di Freeman, la rivista edita e curata da John Freeman, ex direttore di Granta, tra i più acuti critici letterari degli anni Zero (Freeman. Potere è ora disponibile anche in italiano per i tipi di Black Coffe. Tradotto in 8 lingue, Panopticon è stato opzionato per il cinema dalla Sixteen Films di Ken Loach sulla base della sceneggiatura originale della stessa Fagan e verrà messo in scena nei teatri di Edimburgo e Glasgow il prossimo novembre. Jenni Fagan vive con il compagno e il figlio a Burntisland, cittadina della contea del Fife, attualmente impegnata nella stesura di due romanzi e della tesi di dottorato su Franz Kafka.
https://jennifagan.com/
Twitter: @Jenni_Fagan
L’INTERVISTA
- Panopticon ruota attorno al personaggio di Anais: quando la incontriamo per la prima volta si trova in una brutta situazione e sta per essere condotta in un luogo particolare, che prende il nome proprio dal titolo del libro. Puoi parlarci di lei?
Anais è una giovane detenuta di 15 anni seguita dai servizi sociali da tutta la vita. Non conosce nessuno con cui sia imparentata né ha mai visto una loro foto né un nome. E’ davvero appassionata di controcultura, vintage, couture, e sogna ad occhi aperti di trasferirsi a Parigi. A volte è anche violenta e imprevedibile, ma sempre in difesa di coloro che sente essere vittime di bullismo. Anais è un’esistenzialista adolescente con un amore per le droghe, una passione distruttiva, e una ricchezza di umanità, gioia e umorismo.
- Anais è una ragazza che in molti definirebbero “difficile”, una di quelle persone che sono tagliate fuori dalla società, rinchiuse in posti separati dalle persone, cosiddette, “normali”. Il tuo libro parla anche di questo, di tutte quelle persone che sono considerate problematiche, anche se innocente, e che vengono allontanate dalla società. E’ così? Cosa si intende per normalità? E perché queste persone vengono ritenute un problema?
Probabilmente è il sistema che la disumanizza, allontanandola dal cosiddetto “popolo comune”, ad essere problematico. Forse vivere in un mondo in cui la corruzione è intrecciata dai livelli più alti della società a quelli più bassi è in realtà il problema. La società rimuove coloro da cui non può trarre profitto, li disumanizza e questo, penso, sia problematico.
- La storia di Anais ci ricorda anche come i pregiudizi siano sempre presenti nella nostra società, come sia semplice (e conveniente, a volte) essere “ciechi” di fronte alla realtà. Il tuo libro viene spesso segnalato come appartenente al genere “distopico” ma leggendolo credo che più che parlare di un futuro lontano, parli del mondo di oggi, anche se visto attraverso le speciali lenti della fiction. Cosa ne pensi?
Tutto ciò che è presente in Panopticon è rappresentato nella attuale società, tutti noi viviamo in un panopticon: social media, telecamere a circuito chiuso, cultura, pratiche lavorative e i responsabili politici stanno tutti utilizzando questi mezzi, in un modo che non si è mai stato visto prima.
- Anche lo stesso Panopticon – teorizzato più di uns ecolo fa – è una metafora dei nostri tempi: non viviamo in una struttura di questo tipo ma possiamo essere “visti” sempre e ovunque grazie, per esempio, ai social media. Cosa ne pensi dei social media e questo tipo di realtà dove siamo tutti così sovraesposti?
Penso che sia una falsa narrativa con cui smussare la realtà. È pericoloso ma ha anche un potenziale di libertà per la comunicazione. Se ciò potesse essere sostenuto, sarebbe da usare.
- La vera domanda nel tuo romanzo, una domanda universale, è se le nostre origini, la nostra esperienza, la società in cui viviamo influenzi chi siamo e quanto tutto ciò possa determinare il nostro futuro: vittime delle circostanze o fautori del nostro destino?
Entrambi. Non abbiamo scelta per ciò che ci è stato dato ma tocca a noi decidere come reagire ad esso.
- Il tuo libro solleva anche domande ti tipo sociale: se da un lato ci domandiamo come possano persone che crescono in una situazione disagiata cambiare il loro futuro, dall’altra dobbiamo riflettere su cosa la società – e ognuno di noi – possa fare per aiutarli: era questo uno dei tuoi obiettivi? Alzare il velo su questa questione?
Il mio obiettivo era quello di articolare la verità di un singolo essere umano, per renderla il più reale e multi-strato possibile.
È molto facile per la società dire “oh guarda quelle persone problematiche laggiù”, tuttavia tutte le strutture sociali sono progettate per perpetuare l’idea di “sé” e dell'”altro”. Il sé crede sempre di essere moralmente superiore, accettabile, ordinario. Il sé crea le condizioni attraverso le quali l’altro esiste. Il sé poi scarica tutti i suoi attributi negativi sull’altro.
L’altro è lo specchio del “sé” che così può mostrare ciò che ha fatto. Il sé non considera mai questa cosa, continua semplicemente a considerare “altro” tutto il resto – nel tentativo di sentirsi meglio e mantenere la superiorità sociale e finanziaria. Non vuole davvero guardare se stesso. Non si interroga sinceramente su quale sia il vero risultato delle strutture sociali che abbiamo ereditato per l’umanità, gli individui, i gruppi sociali e il pianeta.
- Infine, cosa ti piacerebbe restasse al lettore una volta finito di leggere il tuo libro?
Una emozione reale, come se il lettore avesse preso parte a questa vita in qualche modo anche se solo per un breve periodo.
DATI DEL LIBRO
Titolo: Panopticon
Autore: Jenni Fagan
Traduzione: Barbara Ronca
Editore: Carbonio Editore
Collana: Cielo Stellato
Pagine: 300
Prezzo: 15,50 cartaceo (QUI su Amazon)
Data di uscita: 28 febbraio 2019
3 commenti il Panopticon: tra storia, distopia e realtà. Intervista a Jenni Fagan
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