Qualche tempo fa vi ho parlato di Stazione Undici, un distopico post-apocalittico che mi ispirava particolarmente avendo al centro della sua trama l’arte, intesa come elemento fondante ed indispensabile dell’umanità. Tutti elementi che mi hanno “costretta” a correre in libreria e accaparrarmene una copia.
Ho cominciato quindi a leggerlo immaginandomi un romanzo di un certo tipo rendendomi velocemente conto, però, di essere fuori strada: mi aspettavo una storia avventurosa ricca di “arte”, trovandomi invece davanti ad una vicenda corale che tratta di vita vera in bilico tra passato e presente, del prima e del dopo l’evento che ha distrutto tutto ciò che chiamavamo “umanità”.
Ecco cosa vi aspetta in Stazione Undici di Emily St.John Mandel (Bompiani).
“Noi siamo stati risparmiati non soltanto per recare la luce, per diffondere la luce, ma per essere la luce. Siamo stati risparmiati perché noi siamo la luce. Noi siamo i puri.”
Kirsten Raymonde non ha mai dimenticato la sera in cui Arthur Leander, famoso attore di Hollywood, ebbe un attacco di cuore sul palco durante una rappresentazione di Re Lear. Fu la sera in cui una devastante epidemia di influenza colpì la città, e nel giro di poche settimane la società, così com’era, non esisteva più. Vent’anni più tardi Kirsten si sposta tra gli accampamenti sparsi in questo nuovo mondo con un piccolo gruppo di attori e musicisti. Tra loro si chiamano Orchestra Sinfonica Itinerante e si dedicano a mantenere vivo ciò che resta dell’arte e dell’umanità. Ma quando arrivano a St. Deborah by the Water si trovano di fronte un profeta violento che minaccia l’esistenza stessa di questo piccolo gruppo. E man mano che gli eventi precipitano, in un continuo viaggiare avanti e indietro nel tempo, mostrando com’era la vita e com’è dopo la grande epidemia, ecco che l’imprevedibile evento che unisce tutti i personaggi viene rivelato. Riuscirà a quel punto l’umanità a sconfiggere i suoi fantasmi e conquistare un nuovo futuro?
Volete un assaggio del romanzo? Cliccate QUI per scaricare in pdf un estratto.
Titolo: Stazione Undici
Titolo originale: Station Eleven
Autore: Emily St.John Mandel
Traduttore: Milena Zemira Ciccimarra
Editore: Bompiani
Collana: Letteratura Straniera
Pagine: 416
Prezzo: 19,50 cartaceo (E.16,58 su Amazon)
Data di uscita: 05 novembre 2015
Negli ultimi mesi di questo 2015 ho scelto alcune letture che mi hanno lasciato un po’ interdetta. Ieri vi ho parlato di Tinder, oggi vi parlo di Stazione Undici.

Come sapete, qui sul blog si parla sempre di letture consigliate e anche il nuovo romanzo di Emily St.John Mandel è tra questi. Il fatto che non mi abbia particolarmente colpita sta nel fatto che ho contravvenuto ad una delle mie “leggi” personali: mai iniziare un libro piena di aspettative. Principalmente perché le trame sono spesso fuorvianti (quanto volontariamente non so) non rispecchiando in pieno il contenuto dei libri; successivamente perché se non hai capito bene cosa ti trovi davanti puoi rimanere deluso anche da un libro bellissimo. Faccio qui una breve parentesi portando un esempio cinematografico. Adoro il regista M.Night Shyamalan, ho visto tutti i suoi film e ricordo in particolare The Village: chi l’ha amato (come me) è stato perché è andato al cinema senza aspettarsi nulla, lasciandosi stupire da una trama che si è rivelata diversa da ciò che prometteva. Ed è questo l’atteggiamento che vorrei tanto avere – e non sempre riesco – davanti ad un libro. Ed è questo il consiglio che do sempre alle persone con cui parlo.
In rete ho sentito paragonare questo romanzo a The Walking Dead, senza zombie ovviamente. Ecco, è proprio questo genere di aspettative che va combattuto. Niente di più diverso vi attende al di là della copertina di Stazione Undici. Ci sono molti modi di raccontare la fine del mondo (tante quante le possibili cause che l’hanno generata) così come ci sono molti aspetti che possono essere al centro di una storia.
St.John Mandel ha deciso di raccontare il prima, il dopo e il durante di un gruppo di persone con tutti i loro difetti, le loro preoccupazioni, il loro sfiorarsi. L’inizio di Stazione Undici coincide con l’inizio della pandemia di georgiana, un’influenza contagiosissima e letale che in poche ore uccide chiunque la contragga, lasciando così un mondo desolato dove gli uomini hanno perso tutto e devono ricostruire loro stessi prima ancora della civiltà perduta.

In un turbinio di eventi, fatti, persone l’autrice condurrà il lettore a spasso nel tempo prendendo in esame volta per volta ogni personaggio che presenterà raccontando qualcosa del suo passato, cosa stava facendo durante l’epidemia e cosa ha fatto successivamente. I tempi sono labili e dilatati, come fosse una cineasta la St.John Mandel sceglie episodi significativi della vita di ognuno da mostrare al lettore, conducendolo per mano attraverso molte vite, i loro intrecci, le loro evoluzioni (o involuzioni), come un burattinaio che muove le proprie marionette mettendo in scena lo spettacolo dell’esistenza con le proprie manchevolezze, frivolezze, errori, rimpianti. Non giudica mai la voce narrante, piuttosto svela cosa c’è dietro un azione, dietro un carattere, quali sono i traumi che cambiano la vita, come e perché alcune convinzioni sbagliate – anche se assorbite in buona fede – possono portare fuori strada e quali sono le conseguenze delle proprie decisioni rivelando infine che ognuno di noi è un incastro, un pezzetto di un puzzle che andiamo cercando inconsapevolmente da sempre.

Un romanzo lieve e potente allo stesso tempo, una storia che non ha un vero inizio e una vera fine. La trama c’è ma non è quella la parte che vi coinvolgerà del libro, bensì il filo conduttore che tiene legate le vite di persone che, in condizioni differenti, non si sarebbero probabilmente conosciute così approfonditamente pur essendosi sfiorate per tutto il tempo.
Lo stile dell’autrice è elegante e scorrevole, la scelta narrativa è quella dei flashback saltando da un personaggio all’altro, in anni diversi del “prima”, “durante” e “dopo” creando un effetto straniante nel lettore che sarà così portato a provare un senso di distacco nei confronti della storia, potendosi così formare un punto di vista critico, avulso dalle emozioni. Un gioco di specchi che porta il lettore a identificarsi di volta in volta nei diversi personaggi.
Un libro complesso e semplice allo stesso tempo, consigliato a chi ha voglia di esplorare la società e i suoi vari aspetti, ma anche gettare uno sguardo critico verso il proprio riflesso in quello specchio. Per poi ritrovarci tutti alla Stazione Undici.
Vi state chiedendo quando si parlerà di arte, di cultura, di spettacolo… di teatro? Ecco qui tornare avanti le mie aspettative disattese. L’aspetto artistico, che io avevo capito essere centrale beh, semplicemente non lo è. Assume un ruolo simbolico e i personaggi sono coinvolti in una Compagnia Itinerante che racchiude diverse abilità, dal saper suonare uno strumento alla capacità di recitare, ma non è un elemento portante del romanzo, come io speravo mi aspettavo.
Ora la recensione è davvero conclusa, a voi tutte le armi per decidere se Stazione Undici sarà la vostra prossima lettura 😉
Emily St. John Mandel è nata in Canada, nella British Columbia. Già autrice di tre romanzi, tutti segnalati da Indie Next, collabora con la rivista “The Millions” e i suoi lavori sono apparsi in diverse antologie. Con Stazione Undici ha vinto l’Arthur Clarke Award per la science fiction ed è stata finalista al National Book Award, al PEN/Faulkner Prize e al BAILEYS Women’s Prize for Fiction.
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